L’influenza di Guillaume de Machaut sui compositori italiani di fine ‘300.

L’ultimo quarto del ‘300 è l’inizio di una grande stagione per la cultura occidentale, ove si conclude l’opera di Machaut e inizia quella di una progenie di epigoni innovatori in Italia e Francia.

Ma in quali aspetti, si manifestò l’influenza del nobile retorico nei compositori italiani? In primo luogo, all’inizio del sec. XV, non si conobbero le opere di Machaut, bensì un esiguo numero delle sue composizioni tramandateci da trascrittori veneti e fiorentini; e fu col gusto e le scelte di questi ultimi che si operò un considerevole filtro. La prima chiave di lettura dell’intero operato di Machaut resta però legata all’ars retorica, nella quale eccelsero i maestri parigini per tutto il medioevo. Egli ben ne rappresentò la plurima valenza in qualità di musico e rimatore. Fu definito il grande poeta in forme nuove che impose ogni sorta di nuove strutture strofiche, e vi è certo gesto retorico anche nella foga tassonomica con cui ordinò e classificò le sue opere (applicazione della Dispositio). Di tutto ciò, penetrò certamente in Italia la consacrazione della musica in mensura alla stregua della poesia, l’ampia diffusione della forma ballata, la messa in musica dei testi da parte di Matteo da Perugia e di Anthonello da Caserta tra la Napoli Angioina e la corte Papale Avignonese, le rivisitazioni strumentali del Codex Bonadies; prove certe che ci inducono a strutturare il concerto come Macchina retorica nel rispetto della ripartizione classica, ove ad un’exordium seguiranno dispositio, narratio, peroratio ed epilogo.

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